04/05/14

PINK FLOYD - "Wish you were here"


                 

"Mi hanno chiamato pazzo; ma non è ancora chiaro se la follia sia o meno il grado più elevato dell'intelletto, se la maggior parte di ciò che è glorioso, se tutto ciò che è profondo, non nasca da una malattia della mente, da stati di esaltazione della mente a spese dell'intelletto in generale." (Edgar Allan Poe, "Eleonora")


(1975, Harvest Records./ Art-rock)



          Ogni qualvolta ascolto l'introduzione alla prima parte di "Shine on you crazy diamond", con il mellotron e l'organo che avanzano lentamente risuonando nell'aria come un requiem, la memoria mi riporta alla mente quando "Wish you were here", nono album dei Pink Floyd, risuonava nel salotto di casa mia per tutta la casa.
Un'atmosfera malinconica tra le mura bianche e le poltrone blu dell'infanzia.

         Poi è la volta della chitarra di Gilmour, che fa presto la sua apparizione, più cristallina e pulita che mai, e l'aria intorno sembra quasi depurarsi dalla tristezza. Anche questa, però, è un'illusione. La voce di Waters ci introduce, infatti, a quello che è un appassionato omaggio a Syd Barrett, fondatore dei Pink Floyd (sua fu anche la scelta del nome del gruppo, dai nomi dei suoi bluesman preferiti, Pink Anderson e Floyd Council). Syd era stato allontanato dal gruppo qualche anno prima, per via della sua natura sfrenata che lo aveva condotto a perdere contatto con la realtà. La suite, composta da 9 parti e suddivisa in due, è intitolata per l'appunto "Shine on You crazy Diamond" (>SYD). "Risplendi, diamante pazzo". Ma la follia di Syd era stata solo quella di aver "raggiunto il segreto troppo presto", aver chiesto troppo, essersi inoltrato giovanissimo in quelli che erano gli anfratti della sua mente e del senso dello stare al mondo, almanaccando per anni grazie anche all'uso di droghe lisergiche, per poi, forse, aver trovato risposte troppo grandi, troppo intense.
         Syd si era consumato, ma in "Shine on you crazy diamond" alla tristezza della perdita si aggiunge anche la speranza del ritrovarsi: "Vieni delirante, profeta di visioni. Vieni, pittore, pifferaio, prigioniero, e splendi!" Il riferimento a Barrett appare ancora più chiaro se si pensa che il suo primo amore, ereditato dal padre, fu proprio la pittura, che lo accompagnerà fino agli ultimi anni di vita.

         La luce abbacinante del Diamante Pazzo inizia ad affievolirsi fino a sparire e sfumare nella seconda traccia dell'album, la gelida "Welcome to the machine", primo gustoso assaggio dell'idiosincrasia di Waters nei confronti della fama, qui solo stigmatizzata, ma verrà ripresa meglio più in là in "The Wall" e nei suoi album da solista.
         In "Welcome to the machine" l'elettronica viene sapientemente sfruttata per esprimere la freddezza e l'egoismo del mondo dell'industria musicale, che spreme i suoi talenti in nome del dio denaro. E difatti è la critica all'industria musicale intesa come vero e proprio sterile ingranaggio, l'altra macro-tematica, oltre al ricordo di Syd, di cui si nutre "Wish you were here": l'horror vacui di questo meccanismo prosegue dunque nella successiva "Have a cigar", cui presta la voce il cantautore britannico Roy Harper.
         Il testo altro non è che il discorso di un discografico imbonitore al leader di una band, che promette loro soldi e ricchezza. Al suo interno è presente anche una frase che venne realmente posta al gruppo da un giornalista: "Chi di voi è Pink?". Questo fa pensare che quando si parla di critica al meccanismo discografico si intendono anche i giornalisti musicali, troppo spesso ignoranti, faziosi e asserviti alle majors.
         Fu proprio il concetto che sta dietro ad entrambe le canzoni ad ispirare al designer Storm Thorgerson, che aveva lavorato coi Floyd sin dal 1968, una sorta di icona, un adesivo posto sulla cover esterna del CD. Si tratta di una stretta di mano tra due mani robotiche; concetto che verrà ampliato nella copertina dell'album, la quale mostra per l'appunto due uomini d'affari nell'atto di stringersi le mani, mentre uno di loro sta prendendo fuoco, ma sembra non accorgersene nemmeno.
Probabilmente è questa la copertina più eloquente della discografia dei Pink Floyd.



         Riprendendo e concludendo il discorso su "Have a cigar" è da notare, inoltre, che questa splendida canzone ha quasi i toni di una ballata, con una precisissima sezione ritmica, e che sul finale va a sfumare come se ci fosse qualcuno ad abbassare il volume. Difatti poi si ode una persona entrare nella stanza e cambiare stazione radio. E dalle ceneri di "Have a cigar" nasce la famosissima "Wish you were here". Ideata da David Gilmour e Roger Waters, si configura come una canzone di delicatissima sensibilità, dedicata anch'essa al compianto Syd Barrett. Si è perciò sempre portati a pensare che le parole parlino di lui e della sua assenza, ma in realtà i membri dei Pink Floyd non hanno mai confermato che il protagonista della canzone sia Syd. Waters a tal proposito dichiarò che tutto "Wish you were here" fu un album improntato sul tema dell'assenza. E in effetti, tra le parole di "Wish you were here" potrebbe benissimo aleggiare il fantasma i Syd, così come potrebbe trattarsi di puro lirismo romantico.
"Siamo solo due anime sole che nuotano in una boccia per pesci. Anno dopo anno, correndo sempre sul solito terreno, cosa abbiamo trovato? Le stesse vecchie paure. Vorrei che tu fossi qui."

         Abbandonati i virtuosismi che avevano caratterizzato l'inaspettato e incredibile successo di "The dark side of the moon", dato alle stampe due anni prima, i Pink Floyd si ritrovavano nel loro periodo più difficile, confusi e inariditi sia dal punto di vista artistico che sul piano emozionale, come avranno modo di dichiarare. Ma proprio nel tumulto caratterizzato dall'avversione per la fama e il business musicale e lo spettro di Syd Barrett, che prende vita uno dei loro album destinati a passare alla storia.
         I detrattori avranno notato che le tracce perdono valore se ascoltate singolarmente: questo perché "Wish you were here" è, a suo modo, un concept album, e come tale bisogna ascoltarlo e rispettarlo. Bisogna inoltrarsi in questo viaggio di poco più di 44 minuti e diventare musica che scorre per poterlo recepire e apprezzare.
Immerso in melodie semplici e sincere, "Wish you were here" è uno spaccato emozionale e rappresenta il vettore tra i Floyd più poetici e quelli più impegnati.
         Fine della storia.

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(04/05/14)


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